Scheda del sito
Nome del sito
Viale delle Rimembranze (Caltanissetta)
Immateriale
Indirizzo
F3M5+PX Caltanissetta, CL
Descrizione e Caratteristiche del Bene/Sito
Il 27 dicembre del 1922, il sottosegretario alla Pubblica Istruzione Dario Lupi, rivolgendosi a tutti i
Provveditori agli Studi d’Italia, invitava sul modello della città canadese di Montreal, a
commemorare i Caduti della Grande Guerra con un “albero in ogni città, in ogni paese, in ogni
borgata, per infondere nei fanciulli la religione della Patria e il culto di Coloro che per Lei
caddero”.“[...] che le scolaresche d’Italia si facciano iniziatrici di una idea nobilissima e pietosa:
quella di creare in ogni città, in ogni paese, in ogni borgata, la Strada o il Parco della
Rimembranza. Per ogni caduto nella grande guerra, dovrà essere piantato un albero; gli alberi
varieranno a seconda della regione, del clima, dell’altitudine [...]”. Il giorno successivo lo stesso
Ministero fece pubblicare sul Bollettino Ufficiale n. 52 del 28 dicembre 1922 una seconda circolare,
la n. 73, nella quale vennero illustrate le “norme per la costituzione dei Viali e Parchi della
Rimembranza”:
“[...] tre regoli di legno dei tre colori della bandiera nazionale [...] descrivano un tronco di
piramide triangolare e siano tenuti fissi da sei traversine sottili di ferro [...] uno dei regoli e
precisamente quello colorato in bianco, alquanto più lungo degli altri due, dovrà portare a 10 cm
dall’estremità superiore una targhetta in ferro smaltato, con la dicitura”:
IN MEMORIA DEL CADUTO NELLA GRANDE GUERRA.
L’idea aveva trovato la prima attuazione nella città canadese di Montreal dove, dopo la Grande
Guerra, era stata creata una Strada della Rimembranza fiancheggiata da alberi. “Ogni albero -
scrisse Lupi riferendosi all’esempio canadese a cui si ispirò per la sua proposta - apparisce oggetto
di cure gelose: lo spazio di terra all’intorno è rimosso di fresco e ben lavorato; il tronco è protetto
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da una solida armatura; sul tratto orizzontale di questa, ad altezza d’uomo, è infissa una targa di
ottone, dove scintillano un nome e una data: il nome è di un Caduto nella Grande Guerra”.
In sostanza Lupi importò in Italia l’esperienza americana, conservandone i tratti essenziali, ma
moltiplicandola in modo da realizzare un’enorme folta foresta, fatta di più di cinquecentomila
chiome di alberi nuovi, tanti quanti erano i caduti italiani. In verità nell’idea dell’Albero della
Rimembranza c’era anche il richiamo a tradizioni dell’antichità classica; non a caso un giornale
scrisse che “il rito della pianta, educata alla memoria del morto, è lievemente pagana, ma di quel
paganesimo sano che profumò di grazia il Cristianesimo di Cristo”. Il corpo insegnante era tenuto
a collaborare con i Comuni, tramite dei Comitati esecutivi, per formare l’elenco dei caduti,
attingendo le notizie dal Comune o dal Distretto Militare. Stabilito il numero degli alberi da
piantare, l’autorità municipale sceglieva il luogo dove fare la piantagione. Le piantine forestali
occorrenti per la creazione dei Viali della Rimembranza, su richiesta dei Comuni, venivano
gratuitamente distribuite dal Ministero dell’Agricoltura (Direzione Generale delle Foreste). Il rito
doveva essere compiuto dalle scolaresche affinché manifestassero la riconoscenza ai caduti della
propria città. Tali selve votive rappresentavano “la spirituale comunione tra vivi e morti per la
Patria, luoghi sacri al culto della Nazione, dove i fanciulli si sarebbero educati alla santa
emulazione degli eroi”. Venne istituita anche una Guardia d’onore, formata da scolari, a cui venne
affidata la cura delle Selve votive. Successivamente, il 21 marzo del 1926, con legge n. 559, i Viali e
i Parchi della Rimembranza furono dichiarati pubblici monumenti: “[...] i Viali e i Parchi della
Rimembranza, dedicati, nei diversi Comuni del Regno, ai caduti nella guerra 1915-1918 e alle
vittime, sono pubblici monumenti [...].”
Dario Lupi [San Giovanni Valdarno (Ar) 28 marzo 1876 - Roma, 14 dicembre 1932].
Laureato in giurisprudenza, noto avvocato, è considerato oratore brillante, dicitore perfetto e
ricercato. Interventista, combattente nella prima guerra mondiale, organizzatore delle prime camicie
nere valdarnesi, nel 1921 viene eletto deputato per la circoscrizione Siena-Arezzo-Grosseto e, dopo
la marcia su Roma, fa parte del primo governo di Mussolini come sottosegretario alla Pubblica
Istruzione. Nelle pagine dei giornali dell’epoca, specie nella cronaca aretina, Lupi è presentato
come collaboratore di Giovanni Gentile per la riforma della scuola, dalla quale invece viene
praticamente tenuto fuori. Tuttavia, a partire dal dicembre 1922, mette al suo attivo la propaganda
in tutta Italia per i Viali e Parchi della Rimembranza, simboli della rinascita dei caduti nella Grande
Guerra. Nel 1925, non più sottosegretario, Lupi è nominato consigliere di Stato. Decisivo è il suo
intervento per la soluzione della crisi dell’Accademia Petrarca, ne avvia la fascistizzazione.
Il 1932 è l’anno della sua morte.
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A quattro anni di distanza dalla conclusione della Prima Guerra Mondiale, nella città di
Caltanissetta, inoltre, si costituisce un apposito comitato esecutivo per l’erezione di un omaggio
bronzeo alla memoria dei militari nisseni immolatisi, da collocare poco distante dal Seminario
vescovile, in un’area del viale Regina Margherita dedicata al ricordo dei Caduti che venne chiamata
viale delle Rimembranze, dove furono piantati degli alberi in memoria dei soldati deceduti durante
la Prima guerra Mondiale. A presiedere il comitato è il dott. Luigi Sagona, che nel conflitto aveva
perso congiunti. Ne fanno parte: il comm. Giuseppe Geraci, il cav. Giuseppe Costa Leonardi, l'avv.
Saverio D'Ayala, l'avv. Cesare Corbeltaldo, l'avv. Pasquale Caponnetto, l'avv. Gaspare Oliveri, il
prof. Michele Falci, l'ing. Luigi Greco, il cav. Nicolò Fortini, l'avv. Giuseppe Capozzi, il prof.
Pasquale Licitri, il cav. Michele Blandino e Adalfo Nocila. Al Sagona venne assegnata una
medaglia d'oro da parte della Sezione nissena e dell'associazione nazionale dei Caduti in guerra per
l'iniziativa.
La commissione edilizia, esaminate le proposte del comitato, impone la scelta dell’area per il
monumento tra due siti: il viale Regina Margherita e l’Isola Guittardi, oggi piazzetta Michele
Tripisciano. Entrambe le proposte vengono, però, respinte dal comitato che torna ad insistere
affinché venisse esclusa l’ipotesi del viale e si sistemasse il monumento nella piazza del Collegio,
nel luogo del già previsto monumento a re Umberto I per il quale si consigliava allocazione
nell’Isola Guittardi. L’area scelta, infine, per il gruppo scultoreo viene individuata al centro del lato
della villa Amedeo parallelo al Viale Regina Margherita dove dovrà essere aperto un ingresso
monumentale alla villa stessa con progetto di villini a costituirsi sui lati della stessa linea e
sull’area della villa. Viene indetto un concorso dal comitato e a vincere è Cosimo Sorgi. La data
dell'inaugurazione inizialmente fu fissata per il 24 maggio 1922, ma poi fu prorogata al 16 dicembre
dello stesso anno. Il cerimoniale vedeva riunite le famiglie dei Caduti, gli invalidi di guerra, i
mutilati e i decorati, le autorità, la truppa, le associazioni e le scolaresche. La statua venne fusa nel
bronzo del nemico nella fonderia Laganà di Napoli. Nel 1965 il monumento è stato spostato
nell'attuale sito, a m. 500 dalla sede originaria. E’ stata realizzata dallo scultore siciliano Cosimo
Sorgi che si avvalse della collaborazione del padre Francesco. Ricorda i 291 militi caduti che si
sono immolati in guerra. Le cronache del tempo raccontano che il progetto viene sostenuto dalla
municipalità con cospicue somme elargite su iniziativa dell’avvocato Agostino Lo Piano,
prosindaco della città, e del professore Luigi Sagona, assessore all’igiene oltre che presidente del
comitato. Al contributo della municipalità e a quello dei privati e dell’associazione “Militari in
Congedo”, si aggiungono anche le 500 lire offerte dalla Regina Margherita e dal Principe di Napoli,
assieme ai donativi del conte Testasecca e del figlio, Vincenzo, rispettivamente di 1000 e 500 lire.
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Al sito, come emerge in una missiva del comitato al prosindaco della città, l’avvocato Agostino Lo
Piano, dell’agosto del 1921, fa immediato seguito il disegno del basamento per la sistemazione
dell’ara del gruppo scultoreo con plinti in pietra sogliata e inferriata, su progetto dell’ingegnere
Antonino Ruffo intervenuto nella qualità di commissario tecnico e direttore dei lavori. Tuttavia il
suo progetto viene modificato in corso d’opera come attestano le immagini del monumento subito
dopo il suo completamento. Sorgi dà vita ad una composizione scultorea priva di citazioni religiose
che, nei suoi accentuati tratti espressionisti, incarna superbamente l’idea della memoria. In ciò, il
ruolo del comitato è determinante, poiché non esercita soltanto un’azione di controllo delle
procedure concorsuali, ma provvede anche al reperimento delle somme necessarie per avviare e
concludere i lavori. Risultano, a tal proposito interessanti gli spettacoli di beneficenza tenuti nel
1921 presso il Cinema-Teatro Trieste della città e la lotteria organizzata nel giugno dello stesso
anno nella locale villa Amedeo.
Il rituale della commemorazione del defunto attraverso l’albero
Il Culto dell’Albero (dendrolatria) o “culto arboreo” si riferisce alla tendenza di molte società nel
corso della storia di dare un culto o comunque di mitizzare gli alberi. Gli alberi hanno svolto un
ruolo importante in parecchie delle mitologie e religioni mondiali e gli sono stati dati significati
profondi e sacri nel corso dei secoli. Gli esseri umani, osservando la crescita e la morte degli alberi,
l’elasticità dei loro rami, la sensibilità e la decadenza annuale e la rinascita del loro fogliame, li
vedono come potenti simboli di crescita, decadimento ed infine anche di resurrezione. Varie forme
di alberi della vita appaiono anche nel folclore, nella cultura e nella narrativa, spesso in materia di
immortalità e fertilità. Esempi di alberi presenti nella mitologia sono il baniano (Banyan) e il Peepal
(il Ficus religiosa) dell’Induismo, e la tradizione moderna dell’albero Yule della mitologia
germanica, l’Albero della conoscenza del Bene e del Male del Giudaismo e del Cristianesimo,
l’albero della Bodhi del Buddismo ed infine l’albero Saglagar del tengrismo mongolo. Nella
religione popolare e nel folclore gli alberi sono spesso detti essere le case di spiriti e divinità degli
alberi. Un riferimento particolare al druidismo che, così come il paganesimo germanico, sembra
trarre la “spiritualità” dal bosco sacro, soprattutto riferito alla quercia. La parola druido sembra
derivare dall’unione di due parole celtiche: “duir”, che vuol dire quercia, e “vir”, una parola che
significa “saggezza”. Plinio ci dà una prima etimologia della parola collegandola alla radice greca
della parola quercia, nel libro Storia Naturale (Naturalis Historia XVI, 249-251). Quercia in gallico
si dice dervo, daur in gaelico, derw in gallese. La parola non può che risalire ad un antico celtico
druwides che si può scomporre in dru, prefisso accrescitivo di valore superlativo (che si trova anche
nel francese dru “folto”, “fitto”, “forte”). Cosa non del tutto arbitraria, considerato che i celti
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dell’odierna Francia usavano l’alfabeto greco per scrivere. Ciò ha portato a supporre che druidderivasse dal greco drus, quercia, e dal suffisso indoeuropoeo (e greco) -wid “sapere”, “scienza”,
per cui il senso complessivo sarebbe “coloro che sanno per mezzo della quercia”, “gli studiosi della
quercia”, (dal punto di vista religioso-simboloico). Gli alberi sono un attributo necessario
dell’archetipico locus amoenus (un luogo idealizzato e piacevole) presente in tutte le culture. Già il
Libro dei morti egiziano menziona il sicomoro come parte del paesaggio in cui l’anima del defunto
trova beato riposo. Ad esempio il pioppo nero fin dall’antichità è considerato funerario;
probabilmente questa credenza deriva dal mito di Fetonte e delle sue sorelle, le Eliadi. Fetonte,
figlio di Climene, crebbe senza conoscere l’identità del proprio padre. Divenuto adolescente, la
madre gli rivelò che questi era il Sole e Fetonte volle conoscerlo. Trovatolo, ottenne dal padre di
condurre per un solo giro il carro del Sole, ma data la sua imperizia, si accostò tanto alla terra, che
poco mancò che la incendiasse. Zeus, messo sull’avviso dalle grida degli uomini, gli scagliò contro
un fulmine, facendolo precipitare nel fiume che allora si chiamava Eridano, oggi Po. Le sorelle ne
seppellirono il cadavere e ne piansero la morte per quattro mesi sulle rive del fiume. Gli dèi,
impietositi, le trasformarono in pioppi neri e cambiarono in gocce d’ambra il loro inconsolabile
pianto. Riguardo il pioppo bianco un mito greco narra che la ninfa Leuke per sfuggire al dio dei
morti Ade si trasformò in un pioppo bianco. Egli la prese e la trasportò alla fonte di Mnemosine, le
acque della quale permettevano ai defunti di accedere all’immortalità degli eroi. A confermare il
mito interviene una leggenda nata ad Olimpia: Eracle, uscendo dagli inferi alla fine della
dodicesima fatica, si cinse il capo con una corona fatta con le fronde del pioppo piantato da Ade
presso la fonte di Mnemosine. La pagina superiore delle foglie restò scura, ma quella inferiore a
contatto con la fronte di Eracle divenne bianco argentea. Perciò il pioppo gli è sacro.
Sacralità del tiglio: Filira era una ninfa, figlia di Oceano, che viveva nell’isola del Ponto Eusino che
porta il suo nome. Un giorno Crono si uní a lei ma, colto sul fatto dalla moglie Rea, prese le
sembianze di uno stallone e fuggí al galoppo, abbandonando Filira al suo destino. Quest’ultima
rimase incinta e partorí un figlio mezzo uomo e mezzo cavallo, il centauro Chirone. La vergogna e
l’orrore che Filira provò furono tali che pregò suo padre di trasformarla in un albero. Il genitore
acconsentì. Un altro mito greco racconta le vicende della ninfa Pitis, che Pan tentò di violentare. Per
sfuggirgli ella chiese ed ottenne d’essere trasformata in un pino nero. Secondo un’altra versione
della leggenda, Pitis aveva due prediletti: Pan e Borea, il vento settentrionale. Quando Pitis scelse il
primo, Borea si vendicò col suo soffio impetuoso, precipitando la poveretta dall’alto di una roccia.
Allora la Terra, impietosita, trasformò il suo corpo in un pino e Pan, addolorato, decise d’adornarsi
la fronte con corone intrecciate con rami di questo albero.
In Grecia l’abete bianco era sacro ad Elàte, la dea della luna nuova, detta anche Kaineides (da
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kainizo che significa rinnovare, recare cose nuove). Un’antica leggenda narra che Kaineides era una
ninfa amata da Poseidone. Un giorno questi le permise d’esprimere un desiderio, garantendole che
qualsiasi cosa avesse chiesto l’avrebbe ricevuta. Allora Kaineides chiese di diventare un guerriero
invincibile. Poseidone mantenne la parola e la ninfa si trasformò nel guerriero Kaineus, che divenne
re dei Lapiti. Inorgoglito dal suo potere, Kaineus piantò una lancia d’abete nella piazza del mercato,
costringendo tutti ad offrirgli sacrifici. Zeus, sdegnato da tanta presunzione, decretò la morte di
Kaineus per mano dei centauri, che lo uccisero percotendogli il capo con tronchi di abete.
Nell’antica Grecia anche Il leccio era in origine un albero sacro a Zeus, ma a poco a poco acquisí
una connotazione talmente sinistra da essere associato ad Ecate, la temibile divinità lunare.
Un’antica leggenda narra che le tre Parche, Cloto, Làchesi e Atropo, si coronavano con le sue
foglie. Per quanto riguarda il tasso, il legame di quest’albero con gli Inferi è testimoniato da Ovidio,
il quale affermava che la strada verso il mondo dei morti è ombreggiata da tali piante. Nel
Medioevo si favoleggiava che la dea lunare apparisse a streghe e maghi con torce di tasso in mano.
L’eco di questa credenza si ritrova nel Macbeth di Shakespeare: le tre streghe preparano la diabolica
mistura nel calderone di Ecate e vi uniscono un rametto di tasso reciso all’eclissi di luna. Anche le
Erinni lo usavano, terrorizzando con fiaccole fatte col suo legno i mortali che intendevano
perseguitare.
Fonti
- Impelluso, Lucia. La natura e i suoi simboli. Piante, fiori e animali, Electa, Milano, 2003;
- Cattabiani, Alfredo. Florario. Miti, leggende e simboli di fiori e piante, Oscar Mondadori, Milano,
1996;
- Brosse, Jacques. Mitologia degli alberi, Rizzoli, Milano, 1991;
- Zaffuto Rovello, Rosanna. Storia di Caltanissetta, Edizioni Arbor, Palermo 2008;
- AA. VV. Caltanissetta tra Ottocento e Novecento, Edizioni Lussografica, Caltanissetta, 1993;
- Guttadauria, Walter – Spena, Franco. Una città da spedire. Microstorie di Caltanissetta in antiche
cartoline, Edizioni Lussografica, Caltanissetta, 2000;
- Archivio di Stato on-line.
(Nota storica a cura di Giusy Militello)